CATARSINI E VIAREGGIO, IL SUO ATELIER E L’ARCHIVIO STORICO 

CATARSINI E VIAREGGIO, IL SUO ATELIER E L'ARCHIVIO STORICO 

L’immagine dell’artista
Catarsini e il suo archivio-atelier
  
Nel cuore di Viareggio, nel bel palazzo neoclassico che apre le sue finestre su piazza Shelley e che al piano nobile conserva gli affreschi e le memorie di Paolina Bonaparte (che volle farsi costruire questa dimora per viverci il suo sogno d’amore con il musicista Giovanni Pacini), si trova un luogo segreto.
Per trovarlo bisogna salire le ripide scale in pietra serena che portano alle soffitte del palazzo, leggere una frase molto particolare apposta sul muro d’ingresso, “Chi entra mi onora, chi non entra mi fa un piacere”, aprire una porta ed entrare nel cuore di quello che fu il mondo creativo di Alfredo Catarsini.
Queste stanze ospitarono l’ultimo degli studi che Catarsini ebbe nella sua Viareggio.

Il primo fu in via Puccini, nella zona dell’Istituto Sacro Cuore (il ricovero per gli anziani della città che per i viareggini ancora oggi è “I Poveri vecchi”): era uno studio molto semplice, di cui l’artista ricordava i mobili fatti con la cartapesta, materiale che conosceva bene, visto che nel 1926 aveva partecipato al Carnevale con un carro dal titolo Le pesciaie al Carnevale. Abbandonato questo semplice studio si trasferì in un atelier nella centrale via Regia, situato in alcune stanze dell’antico Palazzo Comunale, dalle cui finestre poteva vedere il canale Burlamacca, con il viavai delle barche che vi transitavano e che spesso avrebbe raffigurato nei suoi dipinti. Durante la Seconda Guerra Mondiale il Palazzo fu però gravemente danneggiato, tanto che dovette essere abbattuto, e allora il Consiglio Comunale concorde gli assegnò un nuovo studio nelle soffitte di Villa Paolina.
Ancora oggi in queste due grandi stanze, in cui la luce filtra dalle ampie e basse finestre e il rumore della vita della città arriva ovattato, con lunghi attimi di silenzio, si avverte una calma particolare, quasi la sacralità di un luogo in cui si è creato, meditato e in cui il tempo scorreva in modo diverso da quello della vita corrente. Dopo la morte del pittore nel 1993 le stanze furono però abbandonate, e solo un restauro fortemente voluto dalla nipote Elena Martinelli le ha riportate in vita.
Lo spazio è stato riallestito, sono tornati i mobili originali con i disegni, i pennelli, i libri e la poltrona verde ritratta in molti suoi dipinti, da sola o con le modelle, accanto a una stufa che oggi non c’è più, usata per ripararsi dal freddo pungente che ancora oggi caratterizza l’ambiente in inverno.
Nella prima di queste stanze dal fascino sottile si custodiscono gli scritti, i diari, i documenti, le lettere, le fotografie e i libri che costituiscono l’ampio lascito del maestro, che consentono di ricostruirne la vicenda umana e artistica.

Ci sono tutti i cataloghi delle moltissime mostre a cui Catarsini ha partecipato durante la sua lunga carriera: tra questi spiccano il catalogo della prima Mostra Regionale Toscana nei Chiostri di Santa Maria Novella a Firenze nel 1928, quelli delle sue prime personali a Viareggio nel 1928 e nel 1933, e ancora quelli delle importanti esposizioni che dal 1934 si tennero in estate al Kursaal di Viareggio, a cui (oltre a Catarsini, sempre presente con numerosi e importanti dipinti) partecipavano i più acclamati artisti dell’epoca come Arturo Martini, Carlo Carrà, Primo Conti, Moses Levy, Plinio Nomellini, Lorenzo Viani e altri. Perfettamente conservati anche tutti i giornali dell’epoca, che parlavano dell’artista e delle mostre a cui partecipava in Italia e in Europa, attraverso i quali il visitatore rivive gli avvenimenti dagli anni ’30 ai primi anni ’90 del secolo scorso, preso nella realtà quotidiana del tempo e nei grandi eventi storici: l’avvento del Fascismo, la Seconda Guerra Mondiale, il dopoguerra e la ricostruzione, per scoprire che nonostante la guerra e i problemi economici e umani di quel tempo l’arte non si era mai fermata, come se la voglia di bellezza superasse comunque l’incertezza e la paura del quotidiano.
Gli anni dal 1938 al 1943 furono infatti per Catarsini molto importanti, e lo videro presente con opere anche di grandi dimensioni alle principali manifestazioni italiane: il Premio Cremona del 1939, 1940 e 1941, il Premio Bergamo del 1939, le personali a Roma, Prato e Lucca, e anche all’estero, presente ad Hannover nel 1940 e nel 1941. In archivio restano testimonianze di questi avvenimenti, i numerosi articoli della stampa dell’epoca e le immagini delle inaugurazioni e delle sale espositive.

L’Artista ha conservato con attenzione e precisione, quasi con affetto, tutto il materiale relativo alle sue numerosissime partecipazioni alle mostre degli anni ’60 e ’70 del Novecento, in Italia, Francia e Germania, fino ad arrivare alle antologiche della fine degli anni ’80, che sancirono il riconoscimento di una vita trascorsa con l’arte e per l’arte.
In molti dei cataloghi e degli inviti troviamo appunti a matita, liste di prezzi di vendita dei dipinti e piccoli schizzi a margine, tracce tangibili dell’Artista che rendono questi documenti ancora più preziosi per gli studiosi. Di grande interesse anche la corrispondenza che Catarsini intrattenne con vari esponenti della cultura e dell’arte dell’epoca: particolarmente importanti le lettere di Giulia Viani, vedova di Lorenzo Viani, che ricorda l’ammirazione che il marito nutriva per il giovane Catarsini.
Come Viani, anche Catarsini scriveva, e in archivio si conservano numerose bozze dei suoi racconti e dei suoi libri, e alcuni diari scritti con una lingua colorita e attenta ad atmosfere e particolari, che ricreano scorci dei luoghi visitati: la Corsica degli anni ’30, vista in occasione di due personali a Bastia, resa con una freschezza dagli accenti pittorici, o gli angoli oggi perduti della sua città ritratti in punta di penna. Oltre ai luoghi, nei diari si ricordano tipici personaggi viareggini assieme a illustri esponenti della cultura cittadina dell’epoca, tutto inframmezzato da pagine sparse in cui Catarsini rivela il suo sentire e le sue emozioni, con parole che ci mostrano l’animo retto e sensibile di un artista sempre sincero, che credette fino in fondo all’importanza della verità nell’arte.
Nella seconda stanza la presenza dell’artista sembra ancora palpabile. Qui sono conservati due vecchi cavalletti e un semplice tavolo basso su cui sono appoggiati le tavolozze, alcuni vecchi tubi di colore e le terrecotte che servono da porta pennelli; attorno le sedie, la poltrona verde, due cassettoni un po’ sbilenchi che contenevano carte e disegni e le vecchie immagini della moglie, dei figli e delle darsene viareggine da lui tanto amate. Sotto le vecchie travi, sulle pareti scabre sono appesi gli attestati, i diplomi e i manifesti delle tante mostre a cui ha partecipato; in una nicchia del muro, vecchie tavole formano una semplice libreria, che ospita alcuni dei tanti libri che amava leggere e rileggere.
Oggi il visitatore che entra in queste stanze, camminando sui vecchi pavimenti di cotto del tempo di Paolina Bonaparte, ascoltando il silenzio e osservando le vecchie pareti che recano frasi o appunti dell’Artista, prova una sensazione impalpabile, come se Catarsini fosse uscito da poco; non si è aperta solo la porta di un archivio, ma una finestra su un’altra epoca, ancora viva, che si racconta per noi.
 
Claudia Menichini, Responsabile Archivio Catarsini