Lo stoccafisso, 1950, olio su tela, cm 70 x 50, firmato e datato in alto a destra “A. Catarsini/ 1950”.

Il dipinto può probabilmente collegarsi a Gli stoccafissi con il quale, nel 1958, l’autore ottenne un diploma d’onore e una medaglia alla trentanovesima Mostra Concorso organizzata dalla Società Belle arti e dal Circolo Artisti di Firenze.
Durante gli anni Cinquanta la sua attività espositiva è intensa, a Lucca, in Versilia e a Viareggio, che ospita molte sue mostre, sia personali che collettive a “La bottega dei Vàgeri” fondata nel 1942 da Cristoforo ‘Krimer’ Mercati ed Elpidio Jenco e al Centro Versiliese delle Arti, fondato sempre da Krimer nel dopoguerra. Quest’ultimo, nel 1956, organizzerà una collettiva al Museo di Lindau, sulla sponda tedesca del Lago di Costanza, alla quale parteciperà anche Catarsini.
Le sue opere vengono esposte poi a Roma, Napoli, Genova, Livorno, Trieste e Francavilla al Mare. Spiccano anche le numerose mostre fiorentine, tanto da fare del capoluogo toscano la seconda città che ha ospitato, dopo Viareggio, il maggior numero di sue esposizioni, da Mezzo Secolo d’Arte Toscana di Palazzo Strozzi, alla Mostra Nazionale del Ritratto alla Casa di Dante, dalla Prima Rassegna del Disegno Italiano Contemporaneo, organizzata alle Logge degli Uffizi dalla Compagnia del Paiolo, al Concorso Nazionale organizzato, appunto, dalla Società Belle Arti e dal Circolo degli Artisti.
Lo stoccafisso, datato al 1950, sorprende per la solidità materica che lo differenzia da altre opere realizzate nel medesimo anno. In questa straordinaria natura morta, il pesce appeso si fa apparizione sorprendente nel vibrare caldo della luce, memoria di un rembrandtiano bue macellato in versione marina.
Per la solidità del colore gessoso, steso come intonaco spatolato sul muro, il quadro potrebbe essere un’opera quasi informale, se non fosse per la spessa linea che contorna il corpo dell’animale. Si può dire che in lui ci sia un filo che tiene legati i mutamenti di soggetto e le brusche virate del linguaggio, in un lavoro sempre teso alla costruzione della forma e dello spazio, seppur declinato in modalità diverse di scrittura. Il suo è un linguaggio realista nel quale l’anatomia dell’oggetto è costruita attraverso segni e linee strutturali, così come avviene per un viso, per un corpo o un paesaggio. Lo studio dello scheletro del reale è ciò che ha, fin dagli esordi, perseguito con costanza e caparbietà attraverso il disegno, definendo lo spazio o plasmando un volume attraverso linee forza e tratteggi di ombre, senza virtuosismi, senza alcun compiacimento formale, ancora una volta sull’antico esempio di Viani e della sua asciutta espressività.