Ingranaggi meccanici, 1966, olio su tela, cm 95 x 75, firmato in basso a sinistra “A. Catarsini/ 1966”. Talloncino al verso: “Simbolismo meccanico 1966”.

Lo stimolo costituito dalle ricerche che si svilupparono dal 1945 fino agli anni Sessanta e gli esempi dei più impegnati innovatori dell’arte italiana offrirono a Catarsini quelle suggestioni che lo condussero agli affascinanti risultati del Simbolismo meccanico. Questo originale filone di esplorazione del reale, che trova le sue premesse in una costante dimensione problematica di tutta la sua arte, appare oggi ai nostri occhi come l’esito della simbiosi, talvolta spietata e feroce, fra la logica della macchina e il principio di libertà e di dignità dell’uomo. Tale dialettica era già presente nelle sua darsene, negli enormi scafi dei velieri che sovrastano i calafati e gli operai al lavoro nei cantieri, o nelle gru e nei macchinari che svettano sul porto di Viareggio, oppure nella trebbiatrice che domina Il grano della bonifica lucchese, anche se nelle opere degli anni Trenta il pittore sembrava ricercare un armonico e talvolta idillico rapporto tra l’uomo e la macchina.
L’artista non ha mai mitizzato l’aereo o l’automobile, come fecero Marinetti e i futuristi, che immaginavano, in modo velleitario, un’Italia proiettata in un utopistico futuro; le macchine che dipingeva in quegli anni erano ancora le macchine lente della cultura ottocentesca.
In lui, però, la presenza della macchina e dell’ingranaggio meccanico ha anche testimoniato la vocazione a non appagarsi di un atteggiamento puramente contemplativo nei confronti della realtà e l’assiduità nel coltivare lo spirito di ricerca e l’abitudine alla riflessione. Alla fine degli anni Quaranta, questa inclinazione trova sostanza in un filone centrato sulla rappresentazione di immaginari ingranaggi meccanici evocanti, nella loro inquietante inutilità, la potenzialità distruttiva di una tecnologia che non è più al servizio dell’uomo, ma che si risolve nella sua totalizzante autoriproduzione fino a giungere, nella sua inarrestabile mutazione, alla biomeccanica degli anni Settanta.
Con il Simbolismo meccanico, Catarsini inizia a trattare la macchina in maniera distopica, sotto specie di complicati congegni che generano inquietudine per la loro potenziale minaccia nei confronti dell’uomo e della natura, come in questo olio della metà degli anni Sessanta, la cui composizione è chiusa negli incastri ferrosi e circolari di ruote dentate, volani, tagliati dai piani verticali di tubi e catene di trasmissione, con colori cupi, freddi e ossessivi, che spiccano su gialli sulfurei e sui rossi infuocati.

Esposizioni recenti: Forte dei Marmi, Esplorazioni 2021.