Simbolismo meccanico, 1965, olio su cartone, cm 38 x 51, firmato in alto a destra “A. Catarsini/ 1965”.

Durante gli anni Sessanta, Catarsini ottiene molti successi e prosegue nelle sperimentazioni “meccaniche” che, iniziate verso il 1950, continueranno fino agli anni Ottanta, anche in ragione degli stimoli provenienti dal post cubismo e dal surrealismo di Breton.
Come possiamo osservare anche in quest’olio della metà degli anni Sessanta, egli arriva ad immergersi nell’ingranaggio, lo esplora dal di dentro, lo razionalizza attraverso i consueti schemi geometrici, per poi trasfigurarlo attraverso l’accensione del colore, approdando a visioni surreali, nelle quali l’immaginazione poetica prende il posto della realtà con immagini aliene e sorprendenti.
Le sue macchine assumono così aspetti fantastici, dando vita a composizioni dinamiche di sfere e dischi ruotanti nelle quali il surreale sfocia nella sua fantameccanica, con forme circolari, legni e ferri immersi in un continuum atmosferico informale denso di colore, di gocciolature e di spruzzi.
L’inedito e personale linguaggio nel quale affronta il complesso tema del rapporto tra uomo, natura e macchina, che si era andato facendo sempre più pressante nella seconda metà del secolo, tende a essere sviluppato in direzione contrapposta alla mitizzazione futurista e non coincidente con il meccanicismo di Léger. Anche lo stimolo surrealista viene da lui accolto in modo prudente rispetto alla veemente dialettica di Breton, inventando un linguaggio innovativo che parte dal tormentato rapporto dell’uomo con la macchina per poi approdare a una pittura visionaria e mutante, caratterizzata da continui scarti e improvvise variazioni nell’esercizio della creazione pittorica, tra figurazione, astrazione e pittura informale.

Esposizioni recenti: Viareggio, Alfredo Catarsini 1999; Forte dei Marmi, Esplorazioni 2021.