CAMMINO – I LUOGHI DI CATARSINI

5 – CATARSINI E CASTAGNORI

Nel periodo compreso tra il 1943 ed il 1945 per sfuggire ai bombardamenti incessanti delle truppe tedesche sulla Versilia anche Alfredo Catarsini fu costretto con la famiglia ad abbandonare Viareggio; si trasferì a San Martino in Freddana dove, tra il 1944 e il 1945 affrescò le chiese di San Martino e Castagnori.

La bellezza di questi boschi è descritta nel romanzo Giorni neri che narra le vicende di quel periodo che vide stragi, deportazioni, rastrellamenti inferti alla popolazione inerme. Boschi come nascondigli nella lotta partigiana, boschi dove raccogliere castagne o cacciare per sfamarsi. Boschi silenziosi, panorami sulla vallata, ambiente rimasto incontaminato che conserva e protegge i ruderi del castello e la preziosa piccola chiesa romanica di San Tommaso apostolo del 1260.

Nel 1945, a guerra terminata, Catarsini fu chiamato ad affrescare le pareti ai lati dell’altar maggiore. Tornò volentieri in quei luoghi che ormai gli erano cari ed eseguì gli affreschi in breve tempo e con spirito di ringraziamento: la guerra era finita e con essa anche la grave malattia del figlio Orazio, grazie alla penicillina trovata per fortuna negli accampamenti americani dalla figlia Mity e dal fidanzato Pier Luigi su indicazione dello zio di lui medico lucchese. La famiglia era salva ed era rientrata a Viareggio. La moglie aveva riaperto la sua sartoria, si tornava alla vita e anche la moda riprendeva il suo posto arricchita dalle mode straniere, nuove speranze, voglia ed energie da impiegare nella ricostruzione. Anche Catarsini aveva ripreso la sua attività, il suo vecchio atelier in via Regia nel Palazzo Comunale nell’ex Regio Casini di Maria Luisa di Borbone , che il popolino chiamava anche “Palazzo reale”, era ormai stato bombardato ma ebbe subito l’opportunità di trasferire le sue tele nelle soffitte di Palazzo Paolina Bonaparte nelle due stanze che gli vennero assegnate e che occuperà fino alla morte; accettò la committenza di rifare la tela della Santissima Annunziata andata perduta nel 1944 nel bombardamento della chiesa di San Antonio dove era stata rifugiata. L’avrebbe completata di lì a poco e con essa avrebbe concluso definitivamente la produzione di opere di grandi dimensioni. Finalmente avrebbe potuto insegnare, cosa che desiderava da sempre e che gli era preclusa durante il ventennio non essendo iscritto al partito fascista. Riprendevano le frequentazioni, gli incontri, le esposizioni e con rinnovato entusiasmo si dedicava alla sua ricerca pittorica che chiamò Riflessismo. Gli orrori vissuti restavano nascosti nella memoria oppure, come per lui, trovavano spazio sui fogli di appunti che poi avrebbe rielaborato per costruire e illustrare il suo romanzo.

Anche la serenità di queste composizioni dimostra che la sua arte, “vera affascinante amica” era lì a consolarlo, a sostenerlo, a dargli nuova energia e ottimismo.