CAMMINO – I LUOGHI DI CATARSINI

4 – NOTIZIE SU PIETRASANTA

versilia pietrasanta…arte e artigianato

Pietrasanta è in Versilia, quella “storica”, la regione delimitata a nord dal fiume di Seravezza e a sud dall’antico forte del Motrone (alla foce del fosso Motrone a Marina di Pietrasanta) e comprendente i territori dei comuni di Pietrasanta, Forte dei Marmi, Seravezza e Stazzema. Prende il nome dal torrente Versilia (formato dalla confluenza dei torrenti Serra e Vezza) e un tempo indicava il territorio del capitanato di Pietrasanta, con la fascia costiera fra il Cinquale e il Motrone.

Poi c’è una parte restante, che comprende i comuni di Camaiore, Massarosa e Viareggio, una vasta pianura alluvionale, un tempo paludosa e malsana, compresa tra Marina di Massa e il Lago di Massaciuccoli, limitata verso l’interno dalle pendici sud delle Alpi Apuane. Ormai viene definita ugualmente Versilia anche se questo continua ad alimentare dispute a non finire. Tutti questi sette comuni appartengono amministrativamente alla provincia di Lucca. La Versilia di cui parleremo in questo percorso si estende dunque dal mare alle Alpi Apuane e sulla costa, per circa 20 km,  da Torre del Lago Puccini fino al confine con Marina di Massa.

Questo è l’angolo di costa tirrenica che maggiormente si avvicina alla catena delle Apuane, ammantato da boscosi rilievi collinari e tappezzato da una pianura resa fertile dal fiume Versilia.

Fu prima territorio longobardo, quindi patrimonio dei Vescovi di Lucca che, a loro volta nell’VIII secolo l’assegnarono in beneficio alla stirpe longobarda dei Fraolmi, titolare di beni, sia nella Versilia “del Fiume” (Pietrasanta con Seravezza e Stazzema), che nelle cosiddette “Marine Lucchesi” (Camaiore e Viareggio).

I Fraolminghi – «si rafforzarono diventando veri feudatari col titolo di visconti di Corvaia, documentato verso la metà del X secolo. Ebbero il ruolo di Cattani (vassalli, capi di centri rurali) e di Toparchi (governatori del luogo). La loro consorteria si evolse in vari rami e munì la zona di castelli, fortilizi e rocche, da Corvaia a Vallecchia, da Castiglione di Capezzano a Sala, luogo sotto il quale sorse poi Pietrasanta (nel 1255), da Strettoia al Castello Aghinolfi» (Danilo Orlandi, 2001).

La decadenza del feudalesimo dell’alto medioevo e la nascita dei Comuni portarono alla ribalta potenti città-stato, le Repubbliche di Firenze, Pisa, Lucca e Genova, i cui interessi espansionistici mutarono profondamente l’antica geopolitica nobiliare dei Toparchi, sottoponendola a continui stravolgimenti e pretese.

Ancora nella Versilia dell’epoca rinascimentale, rimanevano aperte le questioni di dominio sul “territorio di Pietrasanta con le sue adiacenze”, sull’approdo fortificato di Motrone, importante sbocco al mare del commercio lucchese, e sul controllo della via Francigena, che per il passo della Cisa collegava il centro Italia ai ricchi mercati del nord.

Tra Lucca, Genova e Firenze la disputa era oramai divenuta plurisecolare e per evitare altre vertenze e conflitti pregiudizievoli, fu richiesto l’intervento di papa Leone X, figlio di Lorenzo il Magnifico. Il Lodo arbitrale del Pontefice fu l’atto autoritario e lo strumento necessario con cui il 29 settembre 1513 si sentenziò il passaggio dei territori di Pietrasanta (poi, nel 1914 anche di Forte dei Marmi), Seravezza e Stazzema nel dominio di Firenze medicea; mentre i territori di Camaiore e Viareggio (poi, nel 1869, anche Massarosa) rimasero sotto quello di Lucca.

Si creò così un nuovo territorio definito solo successivamente «Versilia Storica».

Da allora e fino al 1859, con il nome di Capitanato (poi Vicariato) di Pietrasanta, la cosiddetta «Versilia Storica», rappresentò una specifica unità territoriale ed amministrativa nell’ambito della Repubblica di Firenze, del Ducato e infine del Granducato di Toscana retto prima dai Medici, quindi dagli Asburgo-Lorena.

L’arbitrato di Leone X nel 1513 ha segnato dunque un passaggio cruciale nella storia della Versilia, che condizionò profondamente l’evoluzione storica, sociale e culturale del territorio contribuendo in maniera decisiva alla creazione e al rafforzamento di tratti specifici ed originali delle popolazioni, sia nei confronti delle altre località versiliesi (Camaiore e Viareggio), sia delle restanti parti della provincia di Lucca (Montignoso, Lunigiana e Garfagnana).

Giovanni Pieraccini nel 2013 scrisse: «Il Lodo chiude un tempestoso periodo di lotte per il controllo del territorio fra potenze diverse di quella Italia frantumata ed ormai aperta alle invasioni straniere. Per secoli, dopo la caduta dell’Impero Romano, le coste tirreniche furono in gran parte coperte da boscaglie inestricabili, piene di animali selvaggi e dominate dalla malaria. La svolta avvenne nel Settecento, con la Grande Europa dell’Illuminismo, una stagione breve ma intensa che aprì la strada ai tempi moderni con un grande disegno, quello che sulle rovine delle tenebre dell’ancièn regime si potesse creare una società fondata sulla scienza e sulla ragione, capace di dare agli uomini un avvenire migliore. Fu in questo clima che si lancia in Toscana il temerario progetto di bonificare vastissimi territori distruggendo l’orrido bosco maremmano e, in Versilia, la selva lucchese. La Toscana visse una delle più nobili pagine della sua storia quando i suoi due stati – Firenze e Lucca – si impegnarono simultaneamente, anche se autonomamente, nell’audacissima sfida di ridare una nuova vita civile alle terre risanate. Quando in Versilia giunse l’ora della vittoria, là dove era la Terra del Diavolo apparve, come un prodigio, una terra di invidiabile bellezza. La Versilia apparve nella sua ricca varietà e nella sua armoniosa unità: dalle Alpi Apuane, alle colline, alla pianura, al Lago di Massaciuccoli, alle sue terre ormai fertili e coltivabili e presto produttrici di frutta e fiori. Fu la Versilia cantata dai poeti, dove accorsero da molte parti di Europa artisti e letterati e presto nella nascente epoca del turismo balneare, la mondanità, la borghesia avanzante, e fu l’aristocrazia che vi celebrò la sua ultima stagione. La Terra del Diavolo diventò così un paesaggio di bellezza. Ma non apparve soltanto la Versilia della bellezza e del turismo, ma anche l’attiva Versilia delle imprese, dell’artigianato, la Versilia dei cantieri navali e la Versilia dei Marmi, dell’agricoltura moderna con i suoi prodotti e le serre..».

Danilo Orlandi, 2001 (in libero riassunto) «La lavorazione del marmo prese a svilupparsi fin dal XIV secolo. Marmisti pietrasantesi lavoravano a Lucca e nel 1379 risultano impiegati, insieme a carraresi, anche nel cantiere del Camposanto di Pisa. Dal 1384 al 1420 i cantieri pisani si rivolsero soltanto a Pietrasanta. Si fecero, perciò, più stretti i rapporti di lavoro dei pietrasantesi con l’ambiente di Pisa, dove Nicola, Giovanni, Andrea e Nino Pisano dal Duecento avevano dato alla scultura un’impronta di particolare livello artistico. Certamente da quei contatti trassero stimoli, ispirazioni e ammaestramenti i più dotati marmisti di Pietrasanta.

In pieno Trecento, partendo da una piccola chiesa di San Martino, documentata subito dopo la fondazione di Pietrasanta, si lavorò all’edificio monumentale del duomo. Poco discosto nello stesso tempo si fece la chiesa degli Agostiniani, nota come di Sant’Agostino. Le due fabbriche richiesero molti decenni di lavoro.

Nel corso del XV secolo, la lavorazione del marmo trovò in Guido Riccomanni e nei suoi discendenti Riccomanno, Leonardo, Francesco e Lorenzo nuovi esponenti dai caratteri artistici di un raffinato tardo gotico. Per la loro perizia furono chiamati a lavorare a Carrara, a Lucca, a Sarzana; a Genova, a Pisa, a Siena, a Roma e a Napoli, procurando prestigio ai marmisti pietrasantesi.

Riavuta la Versilia nel 1513, i Fiorentini nel 1515 chiesero alle comunità locali la donazione degli agri marmiferi di Monte Altissimo, della Cappella, di Trambiserra e della Ceragiola. Una volta ottenuti lo stesso Leone X, nel 1518, mandò Michelangelo Buonarroti a escavare marmi nella valle dell’Altissimo e nel monte medesimo.

Nella lavorazione artistica del marmo, alla bravura dei Riccomanni seguì, a Pietrasanta, quella degli Stagi con Lorenzo e suo figlio Stagio (1496?-1563), ai quali, fino a quasi tutto il secolo successivo, si aggiunsero i loro discendenti Giuseppe e Giovanni Battista.

Michelangelo stesso, nel 1518, frequentava la Piazza Maggiore di Pietrasanta e in diversi palazzi stipulava contratti con imprenditori perché gli escavassero marmi.

Sulla metà del secolo Cosimo I de’ Medici diede un impulso di carattere industriale all’escavazione dei marmi a Monte Altissimo e al Piastraio di Stazzema, sfruttò al meglio le miniere di ferro e dell’argento.

L’attività intensiva delle cave chiamò in Versilia artisti quali Giambologna, Danti, Ammannati e Vasari che sceglievano di persona i marmi pregiati per le loro opere.

La lenta ma progressiva decadenza dei Medici portò, sulla fine del secolo, ad una stagnazione dell’economia locale. L’industria del marmo, settore anche allora di lusso, andò in crisi sia per l’escavazione e, ancora di più, per la lavorazione artistica.

La dinastia dei Medici si estinse nel 1737 con Anna Maria Luisa de’ Medici e la corona del Granducato passò ai Lorena con Francesco marito di Maria Teresa d’Asburgo erede del trono imperiale d’Austria.

I Lorena attuarono una politica di riforme. Pietro Leopoldo, Granduca dal 1765 al 1790, affrontò con criteri nuovi il problema della bonifica della pianura, agevolò, anche in materia doganale, il commercio, facendo di Pietrasanta un centro che richiamava compratori fin da luoghi fuori del circondario. Emanò anche provvedimenti riguardanti l’industria estrattiva, ma questi non produssero vantaggi alla escavazione dei marmi, la quale continuò a languire.

Superato il ben triste periodo napoleonico, costellato di guerre e non prospero per Pietrasanta, le cose cambiarono con la Restaurazione e l’Era Industriale. Il seravezzese Marco Borrini, che si associò nell’impresa con l’ex ufficiale napoleonico J. B. Alexandre Henraux, nel 1821, ottenuto un contributo finanziario dal Governo Granducale, riaprì le cave di Monte Altissimo già da lungo tempo dismesse. Nuove cave furono aperte in altri agri marmiferi della Versilia. Per la qualità pregevole di questi marmi fu attirata l’attenzione di imprenditori anche di paesi esteri, Stati Uniti d’America compresi, e di artisti di fama quali il noto scultore Luigi Bartolini.

Il commercio dei marmi assunse una tale espansione che il Borrini di Seravezza e Giovanni Battista Masini, di notabile famiglia pietrasantina, proposero al Governo di istituire a Pietrasanta una scuola per la lavorazione artistica del marmo e di impiegarvi lo scultore locale Vincenzo Santini, che si era formato attraverso un tirocinio professionale e artistico più che decennale, fatto, con intervalli a Firenze e a Siena, a Roma. Il Governo accolse la proposta e invitò il Comune di Pietrasanta ad aprire la scuola. La sua istituzione avvenne nel 1842, e da essa, nel corso del tempo, è disceso l’attuale Istituto d’Arte. Il Santini ne fu subito l’insegnante di scultura e il direttore.

La scuola ebbe anche l’insegnamento del disegno, dell’ornato, dell’architettura e della pittura. Nel giro di vent’anni formò oltre cento operai specializzati nella lavorazione artistica del marmo e già nel 1862 la disponibilità di maestranze qualificate permetteva a Pietrasanta l’attività di undici aziende per la lavorazione artistica del marmo e di due segherie.

La Scuola d’Arte pietrasantina divenne così un centro che, essendo in stretti rapporti operativi con ambenti artistici cosmopoliti, era aperto e sensibile verso i più avanzati gradi dell’evoluzione culturale dei tempi. Si trattò di un’apertura intelligente, che contribuì anche a risvegliare la disposizione atavica verso la lavorazione artistica del marmo che aveva dato luogo alla fioritura locale del tardo Medioevo e del Rinascimento.

In breve tempo si produsse una vasta categoria di artigiani e di imprenditori che si affermò con prestigio nel mondo contemporaneo, dando a Pietrasanta una nuova realtà economica fondata, appunto, sulla lavorazione artistica del marmo.

La locale Scuola d’Arte, divenuta nel frattempo Istituto Statale d’Arte «Stagio Stagi», ha formato artigiani del marmo sempre più numerosi e più qualificati sotto la guida di maestri prestigiosi quali Antonio Bozzano (dal 1893 al 1929) e successivamente Leone Tommasi (insegnante di Discipline Plastiche per oltre un ventennio), Alfredo Catarsini (dal 1951 al 1968, titolare della cattedra di Decorazione e Disegno Musivo, poi di quella di Disegno dal Vero), Franco Miozzo (docente di Plastica e Disegno dal 1957 al 1975).

Sulla fine dell’Ottocento la stessa scuola aprì una nuova sezione dedicandola alla lavorazione artistica dei metalli, in particolare del ferro. Nello stesso periodo di tempo un’impresa privata si dedicò a produrre oggetti di bronzo destinati ad ornare tombe e monumenti cimiteriali o ad essere impiegati per arredi interni di chiese.

Le fusioni in bronzo ebbero uno sviluppo crescente nel secolo appena trascorso con una produzione di livello artistico sempre più elevato, mentre nel settore delle pietre si attivò anche la composizione del mosaico nelle sue varie maniere dal mosaico veneziano a quello fiorentino.

Gli operatori del bronzo si fecero un nome al pari degli artigiani del marmo ed attirarono l’interesse dei più famosi artisti italiani e stranieri.

La pregevolezza delle opere che escono dalle mani dei marmisti, dei mosaicisti e dei fonditori, l’intraprendenza e l’affidabilità degli imprenditori hanno fatto apprezzare nel mondo il nome di Pietrasanta, che il Granduca di Toscana Leopoldo II di Lorena nel 1841 proclamò “Città nobile” e che ha avuto tra i suoi figli due uomini che hanno dato lustro alla letteratura e alla scienza: il poeta Giosuè Carducci e Padre Eugenio Barsanti, lo scolopio inventore, con la collaborazione di Felice Matteucci, del motore a scoppio.

Nell’epoca moderna hanno frequentato gli studi locali fino da cent’anni fa, ai tempi di Leonardo Bistolfi, gli artisti più famosi che, è superfluo ricordarlo, sono per ciò stesso i più esigenti. Essi hanno trovato a Pietrasanta l’ambiente e le persone a loro congeniali, al punto che taluni vi hanno eletto la residenza. Il movimento ha assunto vaste dimensioni dall’ultimo dopoguerra quando sono venuti a realizzare i loro capolavori nei laboratori del marmo o nelle fonderie italiani e stranieri: Francesco Messina, Emilio Greco, Henry Moore, Juan Mirò, Marino Marini, Giacomo Manzù, Jacques Lipchitz, Salvador Dalì, Arturo Martini, Pericle Fazzini, Arnaldo Pomodoro, Gio’ Pomodoro, Pietro Consagra, Novello Finotti, Giuliano Vangi, Sacha Sosno, Pietro Cascella, Gigi Guadagnucci, Hans Arp, Alicia Penalba, Gonzalo Fonseca, Sandro Chia, Mimmo Paladino, Louise Bourgeoise, Kan Yasuda, William Crovello, Arman, Jean Michel Folon, Manolo Carboneil, Girolamo Ciulla, César, Maria Papa, Arturo Dazzi, Ivan Theimer, Fernando Botero, Igor Mitoraj, Costantino Nivola, Gina Lollobrigida, Ugo Guidi, Pietro Consagra, Franco Adami, Cesar Baldaccini, Arturo Carmassi, Marcello Tommasi, Dani Karavan, Niki De Saint Phalle, Helidon Xhixha.

Si tratta di una serie di nomi illustri, ai quali se ne potrebbero aggiungere altrettanti ugualmente degni, provenienti da tutte le parti del mondo. Sono testimonianze di quanto diffuso sia il nome delle maestranze pietrasantesi del settore dei lavori d’arte: un fatto che rende meno retorica l’attribuzione a Pietrasanta del titolo di “Piccola Atene”, e che giustifica l’esistenza del premio “Pietrasanta e la Versilia nel mondo”, con cui da qualche tempo, ogni anno, si assegna un riconoscimento, diventato ormai ambito, ad un artista che le ha onorate.

Proprio all’Istituto d’arte Stagio Stagi nel 2002 si tenne la prima edizione del premio Alfredo Catarsini per la valorizzazione dei giovani talenti. Ad oggi vi hanno partecipato circa 1000 studenti dei licei artistici della Toscana e ogni anno a settembre la mostra viene ospitata a Firenze nella sede del Consiglio Regionale.