CAMMINO – I LUOGHI DI CATARSINI

7 – DESCRIZIONE DELLE OPERE A VIAREGGIO

Quindici delle trenta opere donate dalla famiglia al Comune di Viareggio sono in mostra, in via provvisoria, nelle sale della Biblioteca Civica, al piano terra del Palazzo delle Muse in Piazza Mazzini, sede anche della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea.

Catarsini ha voluto che opere accuratamente scelte restassero alla sua città insieme ad una selezione di opere che rappresentano i suoi soggetti preferiti, i suoi originali stilemi e le varie ricerche pittoriche in un arco di tempo di circa sessanta anni. E tra queste un suo autoritratto, che per lui era il più bello,

In questo spazio dunque saranno esposte, oltre all’autoritratto, altre 14 opere a rotazione, in modo da offrire, nel tempo, l’opportunità di ammirarle tutte.

Vittorio Sgarbi scrive: “…Forse c’è un Catarsini ancora tutto da scoprire, ancora più avvincente di quello che è stato, quello che sarebbe potuto essere… Ciò che gli studiosi devono fare, è mettere al centro dei loro interessi l’oggetto Catarsini, nell’aspetto della sua produzione artistica come nell’evidenza dei documenti extra-artistici in modo di contribuire a meglio comprendere l’evoluzione della sua personalità nel succedersi del tempo”

LA DONAZIONE DI MITY E ORAZIO CATARSINI AL COMUNE DI VIAREGGIO

La donazione è costituita da trenta opere accuratamente selezionate e donate al Comune di Viareggio, con atto ufficiale del 2001, da Mity e Orazio Catarsini, figli dell’artista.

Si tratta di una collezione preziosa in quanto consente di seguire il percorso stilistico di Alfredo Catarsini e la grande varietà di tecniche grafiche e pittoriche utilizzate, a testimonianza del complesso lavoro di ricerca che ne ha caratterizzato il profilo artistico.

Allo stesso tempo, il lascito valorizza la storia di Viareggio, dei suoi luoghi e dei suoi personaggi, lungo gran parte del Novecento.

Paesaggi e ritratti, nature morte e composizioni pittoriche, nudi e figure costituiscono i motivi dei disegni e dei dipinti oggi conservati nei depositi della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Lorenzo Viani” e vengono esposti a rotazione nello stesso palazzo, in una sala della Biblioteca Comunale “Guglielmo Marconi” per l’occasione del Cammino I luoghi di Catarsini.

Attraverso la varietà dei linguaggi utilizzati dall’artista, essi tracciano un percorso di vera e propria esplorazione figurativa che, dalla radice naturalista arriva all’invenzione di originali forme espressive, come il Riflessismo e il Simbolismo meccanico, passando per suggestioni cubo futuriste e surrealiste.

Le trenta opere della donazione costituiscono, dunque, un vero e proprio autoritratto figurativo dell’artista, lungo 65 anni di pittura, dai primi anni Venti fino alla metà degli anni Ottanta.

Darsene, barche, cantieri e canali di Viareggio sono i luoghi in cui Catarsini matura, agli esordi, la passione per l’arte, attratto dalle loro prospettive e dalla loro spazialità ma, soprattutto, dai loro colori, che poi cattura, insieme alle emozioni, già nei dipinti e nei disegni degli anni Venti, attraverso il carboncino, l’inchiostro o l’acquerello, come possiamo osservare in un gruppo di opere grafiche che fanno parte della collezione.

Qui, nei luoghi che di Viareggio custodiscono i segreti, il pittore incontra calafati, maestri d’ascia e uomini di mare come quelli che possiamo vedere in Pescatori, del 1934 o in Giovane con berretto, del 1930, disegni che ci restituiscono l’attenzione per il lavoro e per il popolo viareggino, maturata sull’esempio di Viani, anche se Catarsini si mostra più incline a una visione meno drammatica della società.

Allo scadere degli anni Venti, infatti, le sue vedute si alternano a dipinti popolati da gente al lavoro ma, nonostante una comune attenzione sociale ed esistenziale, le differenze con Viani sono evidenti e profonde, soprattutto quando il maestro strazia le sue figure ed estremizza l’analisi dell’interiorità umana, mentre Catarsini guarda alla realtà con un’emozione più partecipativa e commossa. Egli appartiene alla generazione di Rosai, Soffici, Primo Conti e di quel mondo ha conservato il radicamento alla propria terra e l’amore per la pittura che riflette la condizione umana, esprimendone l’essenza più profonda.

Viani era stato il suo faro negli anni della formazione al Regio Istituto di Belle Arti di Lucca dove aveva conseguito, nel 1919, il diploma di pittura murale e, successivamente, durante la frequentazione dello studio di Domenico Ghiselli uno dei maggiori decoratori all’epoca attivi in Versilia.

A Viareggio, nell’agosto del 1918, aveva incontrato Marinetti alla mostra del Kursaal dedicata alla pittura dell’avanguardia italiana, dove la Metafisica si confrontava con il Futurismo e De Chirico e Carrà dialogavano con Conti, Depero e Prampolini. Il Futurismo lo incuriosiva e gli offriva l’occasione per guardare alle novità del tempo, oltre l’atmosfera viareggina, per andare oltre Viani e per cercare di interpretare a suo modo la modernità, volgendo il suo sguardo al più ampio panorama artistico contemporaneo.

Da Viani, che ne aveva subito intravisto le capacità, Catarsini aveva imparato anche a essere artista universale, a nutrirsi di tutto ciò che la cultura del momento metteva a sua disposizione, ad amare l’umanità travagliata della sua città, mantenendosi però nell’ambito del reale con millimetriche concessioni alla deformazione grottesca.

Del maestro sono conservati molti ritratti tra i quali, nella selezione di opere della donazione, quello a china del 1930. L’anno precedente, Viani aveva vinto la prima edizione del Premio letterario Viareggio, creato da Leonida Rèpaci sull’esempio del Bagutta e al 1930 risale anche l’inizio del lungo e intenso rapporto di amicizia tra quest’ultimo e Catarsini.

Nel lascito troviamo altri ritratti di personaggi che incarnano l’anima della Viareggio popolare e di quel mondo artistico e intellettuale che formava il complesso e stimolante quadro della cultura viareggina del tempo, come quello, realizzato nel 1935, di Giuseppe Tabarracci, il più conosciuto e apprezzato medico viareggino del Novecento che, sin dagli inizi del secolo aveva collaborato con la Società di Pubblica Assistenza presso l’ambulatorio chirurgico, divenendone presidente nel 1925.

Il ritratto di Enrico Pea risale al 1938, l’anno in cui vinse il Premio Viareggio con Moscardino. Poeta, scrittore, drammaturgo e impresario teatrale, Pea darà vita al premio Lerici e sarà il nume tutelare del Caffè del Quarto Platano a Forte dei Marmi, famoso luogo di convivialità e punto di ritrovo delle grandi personalità del panorama culturale fin dagli anni Venti, che Catarsini frequentava.

Lo splendido olio dell’amico Carlo Vannucci, detto Bocco, uno tra i maggiori costruttori dei carri del Carnevale di Viareggio, è stato invece dipinto nel 1937 e ci consente di apprezzare le doti di ritrattista di Catarsini che coglie con sapienza pittorica il giovane pittore con in mano i pennelli esprimendone con raffinatezza la dignità dell’espressione, la determinazione e la coscienza del proprio mestiere.

Gli anni Trenta sono anche quelli del richiamo all’ordine, nei quali si coglie il processo di solidificazione della sua pittura con una pennellata che si fa più larga e costruttiva, come accade nel dipinto che Catarsini presenta al Premio di pittura Golfo della Spezia, al quale partecipa su invito di Marinetti.

In questi anni, l’attività espositiva di Catarsini è intensa e caratterizzata dalla costante presenza alle biennali veneziane, alle quadriennali di Roma, alle mostre sindacali del periodo e a quelle viareggine del Kursaal, dalla prima edizione del 1934 alla sesta nel 1939, con dipinti di qualità che interpretano il mutamento di gusto dell’arte italiana alla metà degli anni Trenta.

Durante il terzo decennio, la pittura di Catarsini evolve verso composizioni, di paesaggio e di figura, più strutturate nella forma e nella stesura del colore, riflettendo in modo originale il richiamo all’ordine che andava caratterizzando gran parte della pittura italiana di quegli anni. Del resto, l’artista fu tra coloro che alle eccentricità delle avanguardie preferirono la solidità delle forme rafforzata semmai da esempi cubisti ed espressionistici che in questa fase sono tradotti nelle sottolineature dei piani prospettici e nell’accentuazione drammatizzante del colore.

Lo scorcio degli anni Trenta registra la sua maturazione artistica e la partecipazione alle principali esposizioni del periodo, dal Premio Bergamo al Cremona dove, nel 1939, viene premiata la sua grande tela che illustra il Discorso del Duce ascoltato alla radio dai paesani di un villaggio.

Al Premio Cremona e alle manifestazioni collegate ad Hannover, Catarsini prenderà parte anche nel 1940 e nel 1941, anno al quale risale il raffinato Autoritratto a olio nel quale il pittore si ritrae nel suo atelier, nel Palazzo comunale in via Regia, dove si era trasferito nell’estate del 1940. L’artista si presenta ancora seduto, al centro del dipinto mentre guarda lo spettatore, con il braccio sinistro alzato e la punta del pennello davanti al mento, quasi mimando l’atto di dipingere. Una testa femminile disegnata di profilo campeggia a sinistra, sulla parete di fondo. Su un tavolino, lì accanto, sono posati un vaso con altri pennelli e alcuni libri impilati: un esercizio di composizione che testimonia la necessità dello studio dal vero e la centralità del disegno nel mestiere dell’artista.

Lo splendido olio, fortemente espressivo, rivela una tecnica solida e una complessità iconografica con la quale l’autore, attraverso la profondità introspettiva dello sguardo e della posa, si dichiara consapevole della propria maturità professionale e dei successi conseguiti a livello nazionale.

Al 1945 risale invece l’intenso ritratto della figlia Mity, inquadrata frontalmente, con quella lievissima inclinazione del volto a romperne la magica simmetria. Il suo viso risalta luminoso sullo sfondo scuro, impenetrabile, misterioso e quasi ieratico, racchiuso dai capelli spartiti sulla nuca, con quel sottile nastro rosso a cingerli in sommità e le valve bianche del colletto sopra il blu fondo dell’abito.

La guerra costringe Catarsini e la sua famiglia allo sfollamento a San Martino in Freddana, dove nel 1944 lascia gli splendidi affreschi del catino absidale e del presbiterio della chiesa parrocchiale. L’anno successivo dipingerà ancora a fresco ai lati dell’altar maggiore di San Tommaso a Castagnori, che sorge alla base dei poggi che contornano la valle.

Ai tragici avvenimenti dell’estate del 1944 è ispirato anche il romanzo Giorni neri, scritto sulla base di appunti e ricordi riordinati dopo la guerra e da disegni del periodo; pubblicato nel 1969 è stato rieditato nel 2021 da La nave di Teseo.

Dopo la Liberazione, Catarsini aveva trasferito il suo atelier nelle soffitte del Palazzo Paolina Bonaparte, dove oggi si conserva anche il suo archivio storico, oggi visitabile in un’ulteriore tappa viareggina del Cammino.

In questi anni ritornano anche nella sua pittura i luoghi della sua città come ne Il bozzone, del 1946, testimonianza dell’affezione verso i luoghi della Viareggio popolare cara all’artista e che affronta con uno sguardo e con un animo rinnovato, profondamente segnato dalla guerra e dalle sofferenze che gli avevano imposto prove drammatiche e quelle riflessioni, nelle quali il senso di un nuovo percorso si riarticolava in nuove ricerche.

A volte, nei suoi quadri affiorano immagini che si sovrappongono e si intersecano in forme riflesse che assumono la stessa consistenza di quelle reali. In queste opere, Catarsini sviluppa una modalità espressiva inedita e sperimenta nuove geometrie in quel linguaggio originale che chiamerà “riflessismo”, nel quale dipinge gli oggetti e i quadri appesi alle pareti del suo studio scomposti e ricomposti nel riflesso tra diversi piani e prospettive.

Catarsini, infatti, fu segnato dal clima di sperimentazione figurativa dell’immediato dopoguerra, nel quale emergevano istanze di rinnovamento culturale e linguistico. Egli rispose dalla sua Viareggio realizzando questi dipinti nati dall’osservazione dei riflessi dell’ambiente nei loro vetri. Lo ricorderà anni dopo alla nipote confidandole che «osservando un quadro appeso a un muro dello studio notai che nel vetro di protezione si rifletteva quello che c’era intorno e così sul dipinto la composizione si arricchiva di altre forme sovrapposte».

In questa breve e significativa fase, caratterizzata da sperimentali composizioni di prospettive inedite della realtà, emerge la sua necessità di ricercare l’ambiguità nel fantastico quotidiano, in un’esperienza che lo porta a una pittura specchio dell’immagine e immagine dello specchio. Nel 1981, sarà proprio il pittore viareggino a ricordare, citando Breton, l’importanza dello «scavare

con profondità le cose che ci ricordano, che ci interessano», aggiungendo che questo «nuovo modo di osservare il mondo» produrrà prospettive stravaganti, non astratte, ma risultanti da una realtà riflessa.

A quest’epoca, il pittore definiva le molte darsene esposte in mostra «opere che fanno parte della mia vecchia esperienza artistica» come testimonia una delle prime prove del Riflessismo, la Darsena da lui dipinta nel 1945.

A partire dagli anni Cinquanta e fino agli anni Ottanta, stimolato dalle molteplici variazioni del dettato postcubista e dal surrealismo di Breton, dal quale trasse ispirazione per alcune sue divagazioni in area surrealista, egli sviluppa un nuovo e personale linguaggio nel quale affronta il complesso tema del rapporto tra uomo e macchina, che si fa sempre più pressante nella seconda metà del secolo, in una direzione contrapposta alla mitizzazione futurista e non coincidente con il meccanicismo di Léger. Di questa nuova forma espressiva, che chiamerà più tardi “simbolismo meccanico”, sono conservate nella donazione tre Composizioni datate ai secondi anni Sessanta.

Catarsini non ha mai aderito a movimenti o formazioni che costituiscono il variegato panorama artistico del periodo, ma si è accostato alle diverse esperienze d’avanguardia rispondendo a un’esigenza profonda di rinnovamento, scegliendo di volta in volta ciò che lo stato d’animo e l’urgenza formale gli suggerivano. L’artista viareggino, infatti, non ha mai seguito percorsi unitari progressivi o cronologicamente definiti, ma si è rivelato attento ai linguaggi e alle nuove forme espressive che gli consentivano di esplorare il reale in modo inedito, alternando o fondendo una linea analitica e razionale d’indagine a una più espressiva ed emotiva, ritornando con assiduità al mare, alle darsene della sua Viareggio, nella quale stava come al centro di una rosa dei venti, e ai dipinti di figura quando ne avverte il bisogno durante le sue sperimentazioni.

Alle varie esposizioni, anche a quelle nazionali più importanti, egli presenziò sempre con opere figurative, riservando le sperimentazioni per una dimensione più intima e personale, quasi si trattasse di un linguaggio segreto che attendeva il momento adatto per manifestarsi.

A questa vasta produzione di soggetti più tradizionali, seppur interpretati con varietà di soluzioni tecniche e figurative, appartengono molti dipinti a olio del lascito, datati tra gli anni Cinquanta e i Sessanta, come Vaso di fiori, Campanile o Marina invernale, oppure il monotipo Cavallino o il Nudo femminile disegnato a carboncino.

Alla seconda metà degli anni Cinquanta risalgono anche tre dipinti che testimoniano la costante attenzione per la realtà della sua Viareggio, soprattutto delle zone più appartate e periferiche, rivelatori del suo mutamento negli anni della meccanizzazione del lavoro con uno sguardo neorealista che lo accomuna ad alcune tendenze tipiche di quegli anni. Draga, Gasometro e Fabbriche sono spie di questo nuovo sguardo sul reale, così come Darsena viareggina, un disegno a penna del 1966 nel quale continua a contemplare i luoghi d’affezione della sua città, ormai in profonda trasformazione, cercandone ancora l’anima capace di affascinarlo e sorprenderlo.

Questi decenni sono anche quelli nei quali prosegue la sua esplorazione figurativa e tecnica con il Simbolismo meccanico e con opere che cominciano a inclinare verso un originale surrealismo, in ragione dell’influenza di Bréton ma, anche, del pittore brasiliano Aldemir Martins, premiato alla Biennale del 1956 e ospitato nel 1960 da Catarsini, che realizza una serie di quadri con figure e animali fantastici, anche disegnati a china, con un tratto innovativo rispetto alle sue consuete modalità espressive, come possiamo constatare nel Gatto del 1960 o ne Il cavaliere dell’anno successivo.

Iniziata nei primi anni Venti, l’intensa attività artistica di Catarsini ha trovato ragioni e incentivi nella sua attività di insegnante di Disegno dal vero, che si concluderà nel 1968, nonché in altre importanti esperienze professionali. Nel 1965, infatti, lavora per il mensile Viareggio Ieri, diretto da Francesco Bergamini e, tre anni dopo, inizia la lunga collaborazione, che durerà fino al 1982, con Versilia Oggi. Per il mensile fondato da Giorgio Giannelli, Catarsini realizza articoli e disegni, spesso caricaturali, per la rubrica “Incontri con Catarsini”.

Questi anni vedono crescere l’interesse per il suo lavoro e il successo, anche a livello internazionale, delle sue opere, che spesso ritraggono figure femminili, come nei due dipinti a olio che ci ricordano la costante presenza della donna nella sua vita e nel suo immaginario artistico, attraverso due generi da lui particolarmente amati: il ritratto e il nudo.

Ritratto di ragazza del 1965 e Nudo di bagnante del 1986 racchiudono un ventennio di intensa e feconda attività artistica e letteraria che fa di Alfredo Catarsini uno dei più significativi protagonisti della cultura del Novecento.

La collezione di opere conservate alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Lorenzo Viani” ci rivela quanto l’arte sia stata per Catarsini un’esperienza fondamentale, attraverso la quale è riuscito a ritrarre la propria anima e quella delle persone che ha incontrato nel corso della sua esistenza, dei luoghi che ha abitato, di una Versilia colorata e dell’amata Viareggio, della quale sa ancor oggi rivelarci l’essenza più vera e profonda.

  1. Autoritratto, 1941, olio su tela, altezza 84 centimetri, larghezza 66,5 centimetri.

In questo intenso autoritratto, quello che ha voluto lasciare alla sua città, Catarsini attesta e vuole in un certo qual modo dichiarare pubblicamente la propria raggiunta maturità di artista. Catarsini ha 42 anni ed è all’apice della sua carriera: ha partecipato al Premio Cremona, al Premio Bergamo, è presente a tutte le più importanti mostre di quegli anni esponendo a fianco dei più illustri artisti e le sue opere hanno già varcato i confini nazionali. Avrà ancora molti anni davanti a sé, altri successi in Italia e all’estero.

Si raffigura nel suo studio guardandosi allo specchio, seduto su una sedia di vimini di cui si intravede lo schienale, posto leggermente di tre quarti, il pittore ha un’espressione intensa e ci guarda, nella mano sinistra alzata verso il volto tiene un pennello, come se l’avesse appena intriso di colore e fosse pronto a dare una pennellata. L’altra mano è appoggiata sul ginocchio accavallata, anche questa mano tiene un pennello e un piccolo straccio bianco. Catarsini si è ritratto con abiti formali, ha una camicia bianca, un gilet verde scuro e dei pantaloni color grigio piombo, al collo ha una bella cravatta color rosso mattone, dalle forme morbide, come era in uso negli anni ’40. La cravatta è fuori dal gilet e una manica della camicia è aperta, a significare la libertà, che anche in un modo di vestire formale, l’artista si prende sempre.

Alle sue spalle, sullo sfondo del dipinto a sinistra, c’è un tavolo, coperto da una tovaglia bianca, sopra tre libri e un vaso marrone chiaro con dei pennelli, sul muro, proprio sopra il tavolo, è fissato un disegno o una tela con ritratta una testa di donna di profilo, dai riccioli rossi legati a ciuffo. Simbolicamente i tre oggetti rappresentano le sue tre passioni: la pittura, la letteratura e l’eterno femminino fonte di ispirazione costante.

  1. Viani, 1930, china e matita su carta, altezza 35 centimetri, larghezza 25 centimetri.

Questo disegno raffigura il grande pittore e letterato Lorenzo Viani, il suo Maestro e al quale era legato da stima e amicizia. Viani sosteneva che Catarsini fosse il miglior pittore della sua generazione a Viareggio.

Viani è qui ritratto di profilo verso destra, con il suo caratteristico naso adunco. Il volto prende quasi tutto il foglio, l’espressione è corrucciata, il mento è aguzzo, la bocca sottile, gli occhi appena accennati hanno un’espressione acuta, i capelli arruffati, hanno la riga nel centro e cadono lunghi intorno al viso. Al collo indossa il tipico fiocco anarchico che Viani spesso portava.

Scrive Catarsini su Viani nell’articolo Il figlio del pastore, novembre 1968 mensile Versilia oggi

“…I suoi relitti umani appollaiati all’ombra di una selva di bandiere rosse, sfruttati sino alle ossa, indicati talvolta alla derisione degli altolocati, trascendono il dato illustrativo ed assurgono ad opera d’arte sofferta dall’artista, nella identica misura in cui questo “spettri” soffrirono le ingiustizie del loro tempo. […] Di fronte a quella realtà sociale e a quel processo di avvilimento umano, non fu mai indifferente, lo studiò con spirito quasi metafisico, ne trasse una grafica personale talora aspra, angolosa, filiforme, ma sempre conclusiva da paziente ricercatore, da pensatore, ed in netto contrasto con la società, che rese riottosi e ribelli non solo i suoi poveri personaggi di cui effigiò i dolori, le speranze sopra i suoi cartoni, ma anche egli stesso non ne rimase evidentemente immune.” 

  1. Nudo femminile, 1950, carbone su carta, altezza 71 centimetri, larghezza 51 centimetri.

Questo grande disegno raffigura una donna di profilo, in piedi, nell’atto di asciugarsi dopo il bagno. La figura è nuda, il corpo è possente, la testa è accennata, la gamba destra è piegata verso l’alto, nell’atto di asciugarsi un piede, che però non vediamo, dalla piegatura del ginocchio notiamo una stoffa lunga, l’asciugamano, tratteggiata con forza e di un bel nero carbone. Tutto il disegno esprime forza e vigore di esecuzione le forme sono evidenziate dai chiaro scuri caldi del carboncino.

Il nudo rispecchia l’idea della donna in Catarsini che non è mai volgare né ammiccante ma che sa esprimere con naturalezza la sua personalità.

  1. Giovane con berretto, 1930, disegno su carta, altezza 25 centimetri, larghezza 22 centimetri.

Il disegno raffigura il volto di un ragazzino con un basco sui capelli. La carta è ingiallita dagli anni e i rapidi e veloci tratti neri di matita e carboncino vi risaltano vivamente. Il volto del ragazzo, raffigurato leggermente di tre quarti, è inclinato verso il basso, lo sguardo assorto e tranquillo sembra guardare qualcosa in lontananza, forse non guarda ma sta sognando ad occhi aperti, come spesso si fa quando si è giovani.

  1. Darsena viareggina, 1966, penna su carta, altezza 38 centimetri, larghezza 50 centimetri.

Questo veloce schizzo a penna su carta rappresenta una zona della Darsena ormai cambiata: è un canale della Darsena Lucca, la più antica di Viareggio, raffigurato nella zona vicino al Ponte di Pisa. Sulla banchina si vede una bitta a cui è legato un piccolo gozzo e due barili, dall’altro lato del canale è ormeggiato un veliero armato a vela latina chiusa, il cui scafo si riflette nell’acqua del canale. Dietro il veliero, lo scafo ligneo di una barca in costruzione e accanto, un edificio con un frontone e due grandi portoni, era uno dei vecchi magazzini della Darsena, l’edificio, un po’ modificato, si può vedere ancora oggi. Questo disegno è anche un documento importante di come era la Darsena fino al 1960 del Novecento e di come si costruivano le barche in legno. Oggi nella zona restano degli importanti cantieri di restauro di barche storiche in legno, retaggio dell’antica conoscenza costruttiva sviluppatasi a Viareggio nell’800 e nel ‘900.

  1. Cavallino, 1953, monotipo su carta, altezza 20 centimetri, larghezza 27 centimetri.

Questo piccolo monotipo su carta, raffigura un cavallo di profilo verso destra che bruca l’erba. Il monotipo è un tipo particolare di stampa che si realizza disegnando direttamente su una matrice, che può essere di vario materiale, e stampando con un torchio. Generalmente il primo esemplare è il migliore, da cui il nome monotipo. Oltre la tiratura unica se ne possono realizzare anche altre ma non della stessa qualità della prima. In questo monotipo Catarsini rende con estrema freschezza e rapidità la sagoma del piccolo cavallo utilizzando un solo colore, il grigio chiaro che offre una visione soffusa.

  1. Darsena, 1945, olio su tavola, altezza 19 centimetri, larghezza 25,5 centimetri.

Questa opera, è uno dei non molti dipinti del periodo di Catarsini denominato da lui stesso Riflessismo, periodo che nacque intorno alla metà degli anni ’40 del ‘900 da una casuale osservazione del pittore di alcuni oggetti riflessi nel vetro che proteggeva un suo dipinto. Queste osservazioni unite alle sue esperienze giovanili nel secondo Futurismo lo portarono alla realizzazione di una serie di dipinti in cui gli oggetti o i paesaggi diventano ambigui, e sembrano far parte di un mondo parallelo, in cui i piani si incrociano e gli oggetti hanno dimensioni non reali. Sono dipinti che sembrano sogni distorti di grande impatto visivo e emotivo, resi sempre con colori caldi e grande uso di rossi, blu e gialli.

Nel dipinto, che raffigura una darsena, vediamo in primo piano una striscia azzurra e una sui toni color sabbia dove è adagiata una barca rossa, accanto, sulla destra, un piccolo uomo stilizzato di colore rosso che sembra avanzare verso la fine del dipinto, sul retro si nota un piano inclinato da cui spuntano due strutture simili a capannoni. Sulla sinistra un altro edificio dal color rosso vivo. Il dipinto pur nelle sue dimensioni contenute ha una forte impatto surreale.

  1. Fabbriche, 1960, olio su tela, altezza 60 centimetri, larghezza 80 centimetri.

E’ una composizione surreale e raffigura alcune costruzioni, un gasometro e alcuni altoforni fantasiosi in un ambiente reso nebbioso dai fumi emessi dalle ciminiere

In primo piano una striscia di terra dai toni molto scuri con alcune assi di legno gettate a terra e delle piante basse, dei cespugli color verde scuro, che formano quasi una quinta arborea da cui spuntano le sagome di un gasometro e di due grandi ciminiere tipiche degli altiforni, sullo sfondo, progressivamente in lontananza altre cinque ciminiere, più sottili, come lungi camini da cui escono pennacchi di fumo scuro che il vento porta sulla destra del cielo cupo, dove solo alcuni tocchi bianchi riescono a illuminare il tono plumbeo del dipinto.

L’opera sembra testimoniare l’incertezza che il pittore provava verso un futuro che non considerava più la natura, simbolicamente rappresentata dal legno gettato in primo piano e dalla siepe verde. Catarsini con questo dipinto sembra lanciare un avvertimento: dove ci porterà tutto questo? Una domanda che dopo sessant’anni non ha ancora risposta.

Tommaso Paloscia scrive: “….. La sua pittura non può prestarsi a semplicistiche interpretazioni; una lettura adeguatamente corretta, si rivela più complessa di quanto possa apparire in superficie. Il suo linguaggio è di livello internazionale e la naturale capacità dell’artista, regge il confronto con i tempi e si proietta nel futuro…

  1. Capanno e barca, olio su tavola, altezza 33 centimetri, larghezza 50 centimetri.

Questa marina dai toni cupi raffigura la spiaggia d’inverno, risale agli anni ’50. Abbandonata fra i “poggioni” (le dune che si trovano nel tratto di spiaggia a levante della città) e le erbe dunali, c’è una piccola barca, un gozzo. Sullo sfondo il mare in tempesta, con onde bianche e il cielo basso, plumbeo e quasi sulla riva del mare, una casa molto semplice senza aperture, certo una baracca. Tutto il dipinto è pervaso da un’aria grigia, sembra di sentire il freddo e il vento e la malinconia che ha spesso il mare d’inverno.

  1. Gatto, 1960, china su carta, altezza 30 centimetri, larghezza 20 centimetri.

Il disegno a china fa parte della serie delle figure fantastiche che Catarsini creò durante il periodo della sua amicizia con il pittore brasiliano Aldemir Martins che Catarsini ospitò a casa sua durante la permanenza di Martins in Italia a seguito della borsa di studio che gli assegnò la Biennale di Venezia. Catarsini rimase influenzato dai disegni elaboratissimi di Martins e dalla sua fantasia influenzata dai miti e dal folklore sudamericano. Questo disegno fantastico e surreale ne è uno dei più riusciti risultati. Il grande gatto, ha un aspetto inquietante, non è un dolce gattino che fa le fusa, ma una sorta di divinità che richiama le figure azteche, è seduto sulle zampe posteriori, mentre quelle anteriori sono pronte all’atto di fare un salto avanti ad aggredire. Infatti ci guarda con occhi feroci e ha le fauci spalancate; il corpo è realizzato con cerchi, ellissi e triangoli. Interessante è la varietà di motivi con cui sono riempiti gli spazi che definiscono la figura.

  1. Ritratto di Mity, 1945, olio su tela, altezza 47 centimetri, larghezza 36 centimetri.

Questo intenso ritratto della figlia di Catarsini risale al 1945, quando Mity era nel pieno della sua giovinezza e bellezza. Nel dipinto Mity è ritratta a mezzobusto, di fronte, lo sguardo dolce e vagamente malinconico della ragazza non è in dialogo con chi guarda, ma è assorto nei propri pensieri. Un nastro rosso sottile con un fiocco raccolto sulla cima tiene fermi i capelli, lunghi sulle spalle e di color biondo scuro. Il rosso del nastro è ripreso dalle labbra carnose. La castigata camicia dal colore blu copiativo, chiusa con un colletto bianco, fa risaltare l’intensità del volto.

  1. Simbolismo meccanico, tecnica mista su cartone , altezza 40 centimetri, larghezza 49 centimetri.

L’opera fa parte del Simbolismo Meccanico, movimento pittorico creato da Catarsini negli anni ‘60 e ‘70 del Novecento. Nel dopoguerra Catarsini resta affascinato dagli enormi progressi della tecnica e della scienza: ruote, pulegge, ingranaggi e oggetti meccanici diventano protagonisti delle sue tele. Arriva però alla consapevolezza che l’ingegno umano può anche produrre gravi danni e lo testimoniano le ansie, la solitudine e le inquietudini che si percepiscono nella società. Per questo, dagli anni 1970 l’artista inserisce in queste tele volti attoniti e figure circondate da ingranaggi meccanici, non disperate ma come sorprese, a dimostrare l’incapacità umana di dominare completamente il progresso.

Il dipinto raffigura in modo quasi onirico delle forme, una sorta di bastone marrone attraversa in diagonale il dipinto su cui si innesta al centro una specie di cilindro con un manico dai colori rossastri, a sinistra del cilindro un rettangolo bianco in una sorta di cornice arancione, tra queste due forme e il “bastone” un alone verde azzurro semicircolare.

  1. Fiori, 1950, olio su tela, altezza 56 centimetri, larghezza 41 centimetri.

Quest’opera è una delle non molte nature morte dipinte da Catarsini che prediligeva le figure e i paesaggi. Nel dipinto, proprio al centro è raffigurato un vaso dai colori bianco azzurri con dentro un mazzo di rose bianche, lo sfondo è di un color senape indefinito, di grande raffinatezza, su cui si stagliano le foglie verdi delle rose, che con il loro candore illuminano tutto il dipinto che è giocato sui toni soffusi.

  1. Don Chisciotte, 1961, olio su tela, altezza 85 centimetri, larghezza 60 centimetri.

Questa interessante opera fa parte della serie di dipinti stilizzati sui toni del grigio e del nero che Catarsini dipinge intorno agli 1960 del Novecento. Il soggetto si riferisce al Don Chisciotte di Cervantes, quando il protagonista si arrende ai mulini a vento

  1. Draga, 1956, olio su tela, altezza 70 centimetri, larghezza 99 centimetri.

La draga è un galleggiante mobile su cui è montata una speciale macchina per l’escavazione dei fondali sabbiosi di un porto quando si alzano troppo e impediscono l’ingresso delle imbarcazioni. E’ molto utilizzata a Viareggio perché l’ingresso del porto tende ad insabbiarsi

La draga occupa con la sua grande mole tutto lo spazio della tela. In primo piano vediamo due piccole barche attraccate al grande galleggiante, su cui è montata la struttura della draga a forma di piramide, dove, si rincorrono alcune secchie rosse.

Le secchie servono a trasportano la sabbia che il meccanismo della draga preleva dal fondale, e che poi viene depositata sul grande pianale del galleggiante o negli appositi gavoni, sempre sul medesimo lato alcuni paranchi e tiranti.

Sul lato destro della draga la bassa cabina rossa di comando dal fumaiolo nero da cui esce del fumo grigio. Sullo sfondo, quasi perse nella nebbia, si intravedono delle case, probabilmente i palazzi del lungomare di Viareggio che si riflettono nell’acqua. Il dipinto è senz’altro un omaggio alla forza di una macchina che aiuta l’uomo nel duro lavoro del mare.